La donna e il post parto – Ospedalizzazione, rooming-in e altri disastri
La verità, vi spieghiamo, sul post parto, ospedalizzazione, rooming in e altri disastri…
Ed eccoti qui. Sì, è proprio il tuo bambino quel minuscolo essere che stringi tra le braccia e che sa di gioia ed emozioni profonde. Sta attirando i tuoi cinque sensi come una potente calamita. Lo guardi, lo annusi, lo assapori sfiorando la sua pelle di velluto con le labbra, lo tocchi delicatamente quasi avessi tra le mani un fragile bicchiere di cristallo Baccarat e ascolti i suoi lievi versetti con lo stesso trasporto con cui un appassionato di musica classica si ascolterebbe rapito la nona sinfonia di Beethoven.
Attimi che sembrano eterni perché tu sei in un meraviglioso stato latente, in un grande grembo confortevole dove tutto è sogno e magia ed esistete solo tu e il tuo bambino.
D’un tratto un suono tonfo di passi che sembra venire verso di te ti distrae dal tuo idillio.
Tranquilla, ricordi?
Non è che ti trovi proprio in un universo fatato ma in una asettica stanza d’ospedale del reparto di ginecologia, sei uscita sorprendentemente viva dal parto naturale o da un cesareo che nel migliore dei casi è stato programmato mentre nel peggiore dei casi preso come ultima spiaggia dopo appena dodici ore (sto andando per difetto) di arrotolamenti e sradicamenti di santi dal calendario a causa del travaglio.
Quel rumore simile allo scalpiccio di un branco di bisonti schizoidi, che ora sono sempre più vicini alla tua camera, non sono altro che i tuoi familiari e amici che hai avuto l’accortezza di avvertire non appena sei diventata mamma. Capisco, l’emozione è tanta e l’impulso di condividerla in tempo reale travolgente per cui immagino che se ne avessi avuto la possibilità ti saresti impadronita della sede dell’Ansa per mandare un comunicato alla nazione intera.
Ma ora che la fiumana di visitatori ha fatto irruzione nella tua camera e ti sei resa conto dell’errore sovrumano commesso stai maledicendo il cellulare e chi lo ha inventato, vero?
So anche questo. E forse hai come l’impressione che il festival di Woodstock abbia contato molte meno persone rispetto al numero dei presenti che sono venuti a fare visita a te e alle tue vicine di letto”
Perciò se tu che stai leggendo sei in dolce attesa tieni bene a mente di non cadere nella trappola dell’sms: “E’ nata la piccola Rebecca, pesa 3 kg 350. Lei e la mamma stanno bene” da inviare a tutti i tuoi contatti perché rischi di trovarti armata di fiori e cioccolatini anche l’ex collega della multinazionale in cui hai fatto il tuo primo stage dieci anni prima.
Insomma la fase dell’ospedale è una cosa seria. Non va minimizzata e ritenuta un tre giorni di summit con le amiche di sempre, con quelle di un tempo, con colleghi di lavoro, vicini di casa e tutti i parenti minori che occupano anche i più piccoli ramoscelli del tuo albero genealogico!
La lista degli invitati va accuratamente selezionata e salvo il marito/compagno, genitori, fratelli e suoceri ti consiglierei di non accogliere nessun altro. Io ricordo ancora con un certo brivido la mia degenza ospedaliera e a ripensarci l’unica parola che mi aiuta a qualificare quell’esperienza è: delirio.
Perché di un totale e immenso caos si è trattato.
Gente che andava e veniva, sagome quasi accasciate in ogni angolo della stanza, aria irrespirabile, colpi di tosse, soffiate di naso che conferivano al contesto l’atmosfera di un lazzaretto. Non ultimo i termosifoni che al solo sfiorarli provocavano ustioni incurabili ma soprattutto regalavano un look “ascella pezzata” di tutto rispetto agli astanti.
Al centro di questo totale ambaradan ospedaliero eravamo posizionate io e mia figlia Camilla che grazie al rooming in, nuova scuola di pensiero “˜ginepediapsicopedagogico’ (che je possino”), se ne è stata con me 24 ore su 24 a condividere i primi vaneggiamenti terreni.
Ovviamente le opinioni sono diverse sul rooming in. C’è chi lo osanna e chi (come me e le 14 lettrici su 20 che hanno spedito gentilmente le loro esperienze all’Oasi delle mamme) lo biasima.
Forse c’era qualcosa che non andava nel vecchio metodo? E cioè quello in cui i bambini venivano riuniti in una nursery e affidati alle mani esperte di infermiere meticolose e professionali?
Forse gli studiosi hanno trovato un difetto in questo criterio che permetteva alla mamma di concedersi un po’ di sacrosanto riposo?
E ancora forse sempre agli studiosi (che poi non si capisce bene perché sono tutti uomini e che cippa ne sanno loro di contrazioni, stress da parto e affini, ndr) non andava che le neomamme se ne stessero in intimità ad allattare i loro piccoli e hanno ritenuto opportuno disinibirle a sufficienza costringendole a mostrare le poppe a città e dintorni?
Mi fermo con la mia lunga lista di quesiti sul tema per dedicarmi ad un’altra ben più utile per te, cara futura mamma, che ti servirà dal momento in cui urlerai al tuo compagno/marito: «aaarrrghhhh! Prendi la borsa che mi sono rotte le acque!” in poi:
- A meno che tu non ti possa permettere di pagare una stanza tutta per te avrai intuito che le camere in ospedale sono molto simili a delle camerate. Tra personale medico che entra ed esce e visitatori che si interpongono alla loro movimentata attività non è escluso che ti baleni il pensiero: “se partorivo a casa forse era meglio”, come non è esclusa una tua reazione incontrollata in cui potresti gridare un bel “tutti fuori dalle palle” includendo accidentalmente anche il primario del reparto in orario di visite di controllo;
- Salvo cause di forza maggiore come l’intero staff medico che viene colpito e decimato da una pandemia improvvisa resisti alla tentazione di afferrare il telefonino e ricollegarti al mondo esterno. E’ bene che tu stanca, un po’ disorientata e alle prese con i primi tentativi di allattare tuo figlio te ne stia comoda e rilassata cercando di mantenere il tuo equilibrio psichico su livelli accettabili;
- Considera unicamente una cerchia minima di persone che ti sono vicine (al massimo, oltre la tua famiglia, ti posso concedere la migliore amica) e che invece di starsene imbalsamati a guardarti nella tua nuova veste di madre si rendano utili, ti portino ciò di cui hai bisogno, se ne stiano vicino a te nei modi e tempi giusti e abbiano l’accortezza di lasciarti in intimità con il tuo bambino;
- Cerca di dormire. Il più possibile. Anche se non è facile riuscirci tu provaci, sforzati, rivendica la tua stanchezza fisica e un po’ di sano e rigenerante silenzio;
- Non allarmarti troppo riguardo l’approccio delle ostetriche o infermiere con l’allattamento. Sii compassionevole e soprattutto consapevole che ogni giorno si trovano a che fare con miriadi di seni da attaccare alle boccucce fameliche dei neonati per cui è possibile sentirsi come una mucca in un allevamento intensivo. D’altra parte anche loro se dimostrano di avere la pazienza ai minimi registrati forse è meglio che cambino mestiere. Ma se sei abbastanza fortunata da incontrare Mary Poppins in camice bianco e zoccoli sanitari verde chirurgico stai sicura che comincerai l’allattamento nel migliore dei modi. In ogni caso per qualsiasi dubbio, insicurezza, timore pretendi il diritto di essere bene informata. Allattare non è così semplice come ci fanno credere, bisogna essere al corrente di tutti i probabili ostacoli a cui si va incontro (bimbo che non si attacca, che si attacca male, capezzolo che si infiamma non appena lo guardi, ragadi in agguato, ingorgo mammario, mastite, aggiunta di latte artificiale e via così all’infinito) e sapere che c’è una soluzione per tutto senza farsi venire attacchi di ansia o panico e soprattutto evitando di ritenersi inadeguate;
Come ultimo step ti incoraggio a stampare questo post e di tenerlo sul tuo comodino. E’ conveniente ripassarlo ogni tanto in modo che tu quando varcherai la soglia di ginecologia avrai piena sicurezza di essere informata sui fatti.
Ah, quella sana prevenzione che evita la cura…
Deborah, questo post è come se lo avessi scritto io! Per me la degenza in ospedale è stata terribile: dopo 15 ore di travaglio e cesareo d’urgenza, appena ricoverata in stanza mi hanno dato la bambina in braccio. Non riuscivo a tenerla visto che avevo la flebo ed ero immobilizzata nel letto, ma quando ho fatto notare che non ero proprio nelle condizioni di averla lì, mi hanno risposto: “eh, ma se piange al nido poi dobbiamo riportarla indietro”. Per non parlare del clima da Guantanamo quando cercavo di riposare: non appena chiudevo gli occhi entravano le infermiere per curare me o la vicina di letto e accendevano le luci al neon sparate in faccia. Ricordo come un incubo il tragitto verso il nido di notte per cambiare la bambina: attraversavo i corridoi lunghi e malconci dell’ospedale – nonostante i punti di un cesareo non proprio una passeggiata – e mi sembrava di andare al patibolo. Per fortuna quei momenti sono passati.
non è che a me e te ci hanno separate alla nascita?! 😀
Mi sa! L’ho raccontato alla mia psicoterapeuta e lei mi ha confermato che ho avuto un vero e proprio trauma. Ancora oggi, a distanza di 15 mesi, faccio fatica ad entrare in un ospedale senza ricordarmi quei momenti assurdi. Certe persone, come le ostetriche o le infermiere, dovrebbero frequentare un corso di buone maniere prima di andare in corsia. E cosa ancora più grave, quando ho detto tutto ciò al mio ginecologo mi è stato confermato che nel puerperio mettono le ostetriche che non sono in grado di stare in sala parto.
Io non sono mamma, ma sono ormai circondata da questi esseri, avendo raggiunto i 32.
Tendo sempre a mandare i miei auguri e non mi fiondo mai in ospedale, a meno che non si tratti di parenti prossimi o amici davvero MOLTO stretti.
Poi, lascio passare almeno una settimana prima di mandare un sms per sapere come sta la neomamma principalmente. Solitamente alla seconda settimana domando quando possiamo passare a salutare e conoscere l’erede. E poi stop, lascio che sia la mamma a dirmi se e quando è più tranquilla.
Un’amica di recente, con gli occhi colmi di gratitudine, a curicino, mi ha ringraziata per la pazienza ed il tatto con cui mi sono avvicinata al loro nido.
D’altro canto mia cognata, originaria dell’Ecuador se la prendeva se non ero da loro praticamente ogni sera, a qualsiasi orario! Laggiù esiste praticamente solo il privato e le mamme – almeno nella sua cerchia – partoriscono con l’intera famiglia (solitamente numerosissima) nella stanza accanto. Le camere della degenza hanno una piccola saletta proprio per i famigliari che vi si accampano con palloncini, torte e trombette, pronti a riversarsi dentro non appena neomamma e pargolo vengono portati lì.
Insomma, a volte è questione anche di cultura, ma preferisco attenermi all’educazione ed al rispetto per i delicatissimi attimi in cui nasce davvero una nuova famiglia e la mamma cerca di riprendersi.
vade retro Ecuador 😀 scherzi a parte penso dipenda davvero dallo stato d’animo della mamma e anche dal tipo di parto che ha affrontato. Se la stanchezza la fa da padrona penso che la cosa più utile sia quella di lasciarla in pace…
Mi rivedo… a me Leo lo hanno attaccato subito, appena uscita dalla sala operatoria in camera eravamo in 5, quando arrivavano i parenti c’erano orde di bambini galoppanti e strillanti ed io con un cesareo nn ero in grado di occuparmi di lui… cmq devo dire che i pediatri sn stati fantastici, io ho chiesto di nn rimandarmi a casa e poi farmi tornare x il controllo il giorno seguente perché sto al secondo piano senza ascensore e…nn è il massimo..
tutto vero tranne la critica al rooming in. l’unica cosa che mi interessava in ospedale era stare con mia figlia. se l’avessero portata alla nursery li avrei inseguiti con il catetere da cesareo ancora attaccato. la cosa peggiore? i parenti visitatori che facevano gli stupidi mentre io stavo malissimo, rendevano l’aria irrespirabile e si pigliavano la bimba in braccio quasi prima che la pigliassi io (ho partorito alle 14.00, alle 17.00 già entrava gente). sull’allattamento è vero ci vuole molta forza di volontà, spirito positivo e i giusti consigli da persone esperte, ma ne vale pena, tutti gli sforzi vengono ricompensati. Dovrebbero vietare le visite ai parenti non stretti, veramente!
La natura strafulmini l’inventore del rooming in. Forse sarebbe gestibile in una stanza singola ma tre mamme con tre neonati (la mia esperienza) e relativi parenti non sono gestibili senza dare di matto. Ad un certo punto, dopo 2 notti che non chiudevo occhio, mi rendevo conto che mi capitava di fissare con aria ebete/assente un qualche parente non mio a gambe aperte e tetta al vento. Tipo mucca che vede passare treno. Una delle mie compagne di stanza era meridionale, sua madre ad un certo punto ha iniziato a fare uno strano piagnisteo, ma piangeva proprio, col bambino in braccio dicendo ‘che bello che sei’. Sarà andata avanti 40 minuti a piangere e non stava male nessuno. Ringrazio il cielo che ero catatonica altrimenti un discorsetto glielo avrei fatto. E poi tre neonati affamati e tre mamme stravolte. Mia cognata medico è andata a partorire nell’ospedale in cui lavora e ovviamente l’hanno sistemata in stanza singola. Sanno bene anche loro che il rooming in in camerate multiple istiga al suicidio. O all’omicidio, dipende. 😉
Io ho benedetto il rooming-in per entrambi i miei figli (anche se con il maschietto avremmo preferito il parto in casa ma non è stato possibile a causa di problemi) ma, c’è un ma, avrei ucciso tutti quanti per essere venuti a fare visita dopo nemmeno mezza giornata dal parto.
Col Isabel ero esausta, 24 ore di travaglio normale/inesistente e 12 di indotto e ho partorito alle 9 del mattino e alle 12 già c’era l’orda di amici e parenti in una stanza 3 metri per 3 che si godevano la bambina, mentre io ero più uno zombie che non vedeva l’ora di farsi una sana dormita.
Oliver è nato alle 18 e l’orario visita iniziava alle 19, quindi appena siamo usciti dalla sala parto, tempo nemmeno 50 minuti, che c’erano tutte quelle persone che aspettavano ansiose di vedere il nascituro.
E dire che avevo chiesto pacificamente di venire il giorno dopo o almeno non nel primo orario visita a vederli, ma evidentemente l’euforia è così grande che non si sono trattenuti…
Per quanto riguarda il rooming in, come ho già detto, l’ho apprezzato davvero molto. Nell’ospedale dove ho partorito entrambi i bimbi si preferisce questa soluzione, e la nursery viene adottata per mamme che hanno subito un cesareo o che comunque non siano in perfetto stato di salute per occuparsi dei piccoli (ma comunque i bambini venivano date alle mamme dopo le poppate o prima della nanna, giusto per coccolarli, ma se si voleva si poteva chiedere di lasciarli lì anche per un po’. Ovviamente i bimbi erano lasciati nelle stanze negli orari visita). Io ho scelto il rooming in perché volevo godermi appieno i primi attimi con i miei piccoli, soprattutto perché entrambi erano nati prima del termine e non volevo staccarmi da loro nemmeno un attimo (eh sì, avevo paura me li portassero via ehehe). Però credo che ogni mamma deve scegliere ciò che pensa sia giusto per sè e per il piccolo 🙂
Beh! dunque, un:” tutti fuori dalle palle” l’ho gridato minacciando di buttarmi dal letto con tutti i tubi del caso, la sera dell’operazione di fibromi. Tra le tante cose che trovo irritante e di cattivo gusto e’ il bagno nel profumo; Debora, segna: niente botti di profumo versate addosso. A nessuno viene in mente che dopo un intervento si possa avere lo stomaco sottosopra?
Quando ho partorito poi, tralasciando il mio trauma terribile, dato che ho lasciato l’utero in ospedale, la mia vicina di letto ricevette in un botto solo 25 persone, i miei uscirono, chiesi loro di portare la bambina al nido e feci aprire ( immaginate il tono a meta’ tra Hitler e la Rottelmeier ) le finestre.
Ci vorrebbe il galateo dell’ospedale e del post partum, e tra le regole metterei al primo posto una domanda: hai lavato le mani con le quali hai aperto porte di ospedale, pigiato bottoni di ascensore e via dicendo? Se la risposta e’ no, allora desisti dal toccare il bambino, se la risposta e’ si, a meno tu non abbia un attacco di bambinite acuta, chiedi alla mamma, la quale potrebbe non essere d’accordo ….