Mamme ansiose e preoccupate. E se imparassimo dai Giapponesi?
Maria Olivieri Minney, in arte Minnieri, è una torinese con radici pugliesi, trapiantata in terra straniera. Maria vive da molti anni negli Stati Uniti: sposata con un Americano DOC e mamma di due ragazzi straordinari, sarà ospite (ce lo auguriamo) spesso e volentieri della nostra rubrica Cronache Americane.
Una settimana fa mi è capitato di leggere su FB un post nella pagina di un gruppo di mamme americane di OC (Orange County, California). In seguito a questa lettura mi sono definitivamente convinta che noi mamme siamo delle masochiste e che sguazziamo nell’ansia di essere perennemente preoccupate per l’incolumità dei figli, anche quando potremmo farne a meno. Inoltre, ragionando su questo post e sui commenti delle mamme americane di seguito, mi sono poi chiesta: ma non avranno mica ragione i giapponesi?
Ora vi spiego.
Una mamma americana avverte le altre madri del gruppo che un sospetto pedofilo è stato visto recentemente in zona. Grazie a questo post apprendo il nome del sospetto pedofilo, dove va a fare la spesa e persino dove beve quella ciofeca americana che qui chiamano caffè. È ovvio dal tono di emergenza del post che si tratti di una persona da tenere sott’occhio e da stanare. Come sarebbe molto più facile farlo se noi mamme avessimo anche una foto di questo viscido individuo da tenere con noi nella borsetta da vigilantes e da tirare fuori al supermercato mentre scelgo tra i pomodori a grappoli e quelli da insalata!
In effetti, l’autrice del post la foto di quest’uomo ce l’ha (HURRAH!) ma poiché questa persona non è mai stata condannata per pedofilia e non è possibile risalire alla fonte ufficiale di questa notizia, non è possibile postare la foto del “pedofilo” su FB, pena denuncia per diffamazione.
Imperterrita nella sua missione “anti presunto-pedofilo”, l’autrice del post comunica che manderà la foto via messaggio privato del suddetto presunto criminale a chiunque lo voglia. Sorprendentemente (ma neanche tanto) TUTTE vogliono vedere in faccia il mostro: sono tutte preoccupatissime perché vivono in zona, ma anche no, e magari ci vive una conoscente con figli; hanno riconosciuto il supermercato, oppure frequentano lo stesso bar che serve il caffè ciofeca. Insomma, si percepisce il pericolo come chiaramente imminente e tra i commenti inizia il linciaggio mediatico verso il sospetto pedofilo. Finalmente, l’amministratrice del gruppo si rende conto che si rischia seriamente la denuncia per diffamazione e il post viene cancellato.
C’è da sorprendersi che la parola “pedofilo” attiri tanta attenzione in un gruppo di mamme? Ovviamente no. Però, perché non prevale la razionalità e il buon senso quando la legittimità di una notizia è stata messa in discussione dalla mancanza di prove concrete? In questo caso non c’è stata una condanna e non c’è un documento ufficiale che supporti l’idea che questa persona sia pericolosa. Prima di urlare “al lupo, al lupo”, o in questo caso, “al pedofilo, al pedofilo”, prima di cominciare a rivalutare drasticamente la sicurezza di tutti i luoghi che frequentiamo e di prepararci ad attaccare qualunque estraneo che abbia la sfortuna di capitare per caso a meno di 2 metri di distanza dal nostro pargolo, prima di alzare un alto muro di protezione tra i nostri figli e tutto ciò che sta fuori da casa nostra, prima di sprofondare ancora di più in questo modo di pensare che ci forza a dubitare di tutti e di tutto e di pensare sempre al peggio, non sarebbe meglio fermarsi e valutare oggettivamente se il pericolo sia effettivamente reale? Sarebbe logico ma, come affermavo all’inizio, le madri devono necessariamente preoccuparsi, anche quando il pericolo non sussiste, ergo sono/siamo masochiste. E ora arriviamo ai giapponesi…
La città dove vivo, Irvine, è da anni considerata una delle città più sicure degli Stati Uniti eppure, pur vivendo in una bolla, o forse proprio per questo, qui sono tante le mamme ultra-protettive che vedono il pericolo ovunque. Nel frattempo, in Giappone i bambini già a sei e sette anni sono mandati a fare piccole commissioni, girano da soli e prendono persino la metropolitana. E così mentre in occidente insegniamo ai nostri figli a diffidare del prossimo e a non dare confidenza, in Giappone l’approccio è opposto e l’idea fondamentale dietro questa indipendenza è la fiducia nel gruppo e nella comunità, che in assenza del genitore si assicurerà che il bambino sia protetto. Infine, c’è la convinzione che la fiducia nel gruppo prepari gli stessi bambini a vedersi come parte della comunità e ad acquisire gradualmente la consapevolezza di essere loro stessi responsabili anche per gli altri.
Da bambina, non andavo in metropolitana, perché a Torino non c’era, ma fino all’età di 10 anni, avevo decisamente più libertà di movimento dei miei figli alla stessa età. Quindi, benché rifiuti di farmi spaventare da notizie e post sensazionalistici e allarmistici, anch’io forse mi preoccupo più del dovuto. Eppure, vorrei tanto essere un po’ più mamma giapponese e un po’ meno mamma italo-californiana-ansiosa. In realtà, vorrei esserlo non tanto per me, ma soprattutto perché credo che sarebbe meglio per i miei figli essere educati ad avere più fiducia nel prossimo piuttosto che a diffidarne sempre e fino a prova contraria. Ci provo ma lo standard nipponico è ancora molto lontano…
E in Italia, care mamme, come siete messe?