La favola di Pollicino. Una buona terapia contro diversità e insicurezze.
«Mamma, oggi a scuola mi hanno preso in giro”!»
Ancora non ho avuto il dispiacere di sentire Camilla dichiarare un problema del genere ma se dovesse capitarmi (e capiterà pure) e conoscendomi, la prima idea che le mie sinapsi partorirebbero sarebbe quella di risalire ai nomi. Che poi quando vado a prendere mia figlia a scuola arraffo uno per uno i piccoli smargiassi insensibili, li attacco al muro senza essere vista. Li guardo dritto negli occhi con il bavero tirato fino a sotto il mento e gli tatuo in fronte “I love the Winx” per vendetta. Nel caso fossero femmine per loro varrà “Gormiti tutta la vita” affiancata da una fedele riproduzione di Troncalion. A colori, che si evidenzia pure di più rispetto al bianco e nero.
Naturalmente ciò comporterebbe il mio arresto immediato e oltre a lasciare mia figlia con il problema di farsi rispettare e tutta una serie di perplessità su se stessa le darei la triste certezza di avere una madre violenta e delinquente.
Perciò ti propongo un metodo più pacifista per risolvere le insicurezze di tuo figlio: leggigli la favola di Pollicino.
Ho scoperto che esistono un paio di versioni della fiaba, una di Charles Perrault e l’altra dei fratelli Grimm. La prima è forse quella più famosa in cui co-protagonista è un orco che mangia i bambini dove c’è la famosa semina di briciole di pane per ritrovare la strada di casa mentre l’altra ha come antagonista il lupo.
Io farò fede alla versione dei fratelli Grimm da me riveduta e corretta che l’idea di un omone che banchetta con i bambini fa una certa impressione.
Trama:
C’era una volta una coppia di giovani contadini che non riusciva ad avere figli. Le avevano provate tutte: analisi accurata dell’ovulazione, kamasutra in tutte le salse, analisi degli spermatozoi, fecondazione assistita, utero in affitto, adozione.
Niente.
Sembrava che l’universo intero cospirasse contro la giovane coppia che si addolorava ogni giorno di più per non avere bambini gironzolanti per casa.
La contadina presa dalla disperazione una sera dice al marito:«Sarei disposta a mettere al mondo anche un bambino alto quanto Brunet..cioè volevo dire quanto il mio pollice pur di diventare madre!»
Qualche mese dopo, inaspettatamente, la contadina scopre di aspettare un figlio. La gravidanza va avanti serena finché nasce un bambino piccolo, piccolo, alto quanto un pollice, appunto.
Gioia e tripudio!
I giovani contadini erano diventati mamma e papà anche se il contadino aveva cominciato a coltivare forti dubbi sulla fedeltà della moglie visto che era alto 1.93. Ma soprassediamo.
Naturalmente se Barbablù era chiamato così per la sua barba di colore blu, Cappuccetto rosso perché indossava una mantellina con cappuccio di colore rosso puoi immaginare come viene chiamato il bimbo alto quanto un pollice?!
Pollicino!
Questi scrittori di fiabe hanno una fantasia che mi disarma nell’animo.
Dove ero rimasta? Ah, sì…
Un giorno Pollicino decide di accompagnare il papà a caricare la legna. Si fa mettere nell’orecchio del cavallo e con grande maestria dirige l’animale con la voce.
Due forestieri che avevano assistito alla scena propongono al contadino di vendergli il figlio ma egli respinge l’offerta.
Pollicino che aveva fiuto per gli affari dice al padre:«Ma sei matto? Con “˜sta crisi dilagante. Chiedigli minimo 500.000 monete d’oro e mi raccomando in nero che poi con le tasse ci levano anche le mutande!»
Il padre convinto dal figlioletto lo vende intascandosi la cospicua somma. Pollicino quindi dall’orecchio del cavallo si trasferisce sulla tesa del cappello di uno dei due forestieri.
Cammin facendo però riesce a saltare giù dal cappello mettendola nel fiocco ai suoi compratori e rifugiandosi nella tana di un topo. Dalla tana sente due rapinatori architettare un furto ai danni del parroco. Subito entra nella cabina armadio del topo e in men che non si dica se ne esce travestito con una tutina aderente e un mantello, con le lettere cucite sul petto: SP.
Super Pollicino, no?
SP vola immediatamente nella canonica del parroco riuscendo a sventare il colpo dei due con un urlo così acuto da far fuggire i malviventi a gambe levate.
Dopo altre peripezie il minuscolo bimbo finisce nella pancia di un lupo (e ti pareva). Per fortuna che i lupi sono soliti ingoiare senza masticare, così Pollicino dall’interno della pancia convince il bestione a dirigersi in un posto dove potrà mangiare a quattro palmenti indicandogli la strada di casa sua.
Dato il livello, altissimo, di rincoglionimento del lupo nelle favole (vedi Cappuccetto Rosso ma a questo punto sospetto anche in molte altre) Pollicino riesce nel suo intento, rifocilla il lupo così tanto da non farlo muovere di un millimetro.
Allora Pollicino comincia a gridare a squarciagola tanto da attirare l’attenzione dei suoi genitori che accorrono subito verso il lupo ormai ridotto ad una versione di Giuliano Ferrara ipertricotico. Liberano Pollicino promettendogli di non rivenderlo mai più, per nessun tesoro al mondo. Con non troppa convinzione di Pollicino che alla prospettiva di essere venduto per un tesoro aveva già pensato di controllare il Dow Jones”
Perché raccontare Pollicino:
– perché il bambino minuscolo rappresenta coraggio e indipendenza;
– perché affrontando le mille peripezie nella favola riesce a migliorare il proprio destino;
– perché il bambino insicuro può immedesimarsi nel piccolo protagonista sviluppando sentimenti positivi e avere fiducia in sé;
– perché ciò che noi crediamo difetti possono trasformarsi in punti di forza (la statura di Pollicino gli permette di nascondersi e di trovare facilmente la via di fuga);
Messaggio centrale della favola: “I figli non ci appartengono, devono fare le loro esperienze per realizzare la loro unicità , altrimenti diventerebbero una semplice copia dei genitori” (brrr”che paura, ndr).
Simbologia di Pollicino: l’orecchio del cavallo, la tana del topo, il ventre del lupo. Tutti questi elementi rimandano all’utero. E Pollicino è come il piccolo seme che cerca e sonda questi terreni uterini per germogliare, crescere e infine partorire se stesso.
Quando e a chi raccontarla:
– ai bambini dai tre anni in su;
– quando il bambino si sente “diverso” dagli altri e ne soffre;
– nelle manifestazioni di insicurezza di fronte ai primi insuccessi scolastici.
E se tuo figlio dovesse tornare a casa da scuola lamentandosi che i compagni lo canzonano proprio per la sua statura eccoti una massima come asso nella manica che a me piace tanto:
“Un nano sulle spalle di un gigante vede più lontano del gigante stesso”…
P.S. le spiegazioni sulla favola di Pollicino sono state tratte da un articolo di Laura Biasi – Figli Felici ed. Riza ““ febbraio 2010. Sai che novità ….