Il peccato originale della mamma (dove la mela non è contemplata)
Vi siete mai chieste che cosa ha incastrato la mamma nella scomoda etichetta “nata per allevare” lasciando che l’uomo si rifugiasse ai margini del nucleo familiare? Non tiratemi fuori la storia del “perché-sono-le-donne-a-mettere-al-mondo-i-figli” che stacco uno a uno i tasti della mia tastiera del Mac e li impianto al posto dei denti di chi solo pensa a una frase del genere.
Io sto con i pinguini, ad esempio. Queste creature in frac che camminano come facevo io al nono mese inoltrato di gravidanza sono avanti eoni interi rispetto a noi umani: il maschio della specie si cura in toto dell’uovo mentre la femmina ricopre il ruolo di procuratrice cibo. No, ma per la prossima vita voglio vedere la luce nel polo sud.
Nella dimensione umana invece la situazione, si sa, è ben diversa: la donna sbraita, il bimbo nasce, l’uomo sbevacchia con gli amici brindando al suono di “w me che sto per diventare padre!”
Dopo il post sbornia in cui il neopapà si ricorda vagamente la serata, dove quel vagamente si configura in un paio di flashback in cui per puro caso ha sfiorato il culo della barista e si è fatto un selfie con lo scopone del bagno riatterra con una emicrania a grappolo nella dimensione reale. E una volta che si rende conto di cosa lo aspetta quasi sente la nostalgia dello scopone del bagno. E del culo della barista, naturalmente.
Il quadro che gli si prospetta non è dei più rosei:la moglie pare pronta per girare una scena di Apocalypse Now, il bebé gli sembra il maestro Yoda da cucciolo e lui dopo avere postato foto sui suoi profili social del nascituro, di lui con lei, di lui con l’infermiera, di lui con il porta flebo, di lui con il distributore di merendine automatico pensa di avere concluso il suo ruolo di padre.
Lei, la protagonista di Apocalypse Now, ha già capito tutto, e mentre è alle prese con il posizionamento del capezzolo dentro la bocca minuscola di Yoda da piccolo pensa a multitaskizzare la sua nuova vita pianificando già ogni singola giornata della sua nuova vita intessendo il tutto con il motto per antonomasia femminile: lascia che ci penso io. O in alternativa: sta buono, che faccio io. O altra versione: tu vai, che non sai fare una mazza.
Così, senza nemmeno accorgercene, scatta il meccanismo perverso per cui l’uomo riprende la sua vita uscendo di casa la mattina (come sempre), andando in ufficio (come sempre), facendo l’aperitivo prima di rincasare (come sempre), e trovandosi pure un’amante (che lei, la protagonista di Apocalypse Now, da quando ha Yoda cucciolo tra le braccia gliela fa vedere meno dell’apparizione della cometa di Halley).
Ed ecco come ci siamo ritrovate inevitabilmente a ricoprire il ruolo della dea divinorum, che tutto conosce sul senso della vita e i suoi più reconditi segreti. Che tutto vede, ha visto, vedrà. Il cui compagno è un semplice terrestre che a volte sembra essere presente nella sua vita con la stessa evanescenza di un ectoplasma.
Questo ruolo per un pò forse ci è piaciuto. Insomma in fin dei conti era l’unica funzione per cui sembrava fossimo state programmate (prima che riuscissimo in qualche modo a capire che anche noi potevamo studiare, lavorare, votare, entrare in politica, bere birra e ruttare liberamente).
Molte di noi, troppe direi, sono cadute nell’arroganza, nella tendenza a sentirsi onnipotenti in campo maternage. Qualcuno ci conceda questa sfrontatezza, è il minimo che si possa fare visto che il travaglio ci spetta di dovere e diritto.
Quindi ci siamo caricate in spalla uno zaino di dimensioni spropositate e buttate un paracarro di due quintali sui piedi con il dolore che si è propagato attraverso i secoli.
Il vero peccato originale lo abbiamo commesso noi, altroché Eva. Noi abbiamo aperto una falla che si sarebbe allargata a macchia d’olio senza più arrestarsi. E avrebbe raggiunto tutte le terre, i laghi, i mari chiusi e aperti, l’immensità degli oceani e le maestosità delle più grandi catene montuose esistenti e si sarebbe impossessata delle menti di tutte le femmine terrestri. E avrebbe mummificato gli esseri testosteronici. Salvo qualche elemento che (quasi si può gridare al miracolo) emerso dalla fanghiglia maschilista si erge a modello di padre pressoché perfetto: sa cosa significhi portare a spasso un bambino, conosce il giusto verso di un pannolino, il biberon per lui non è un pistone di un motore a 4 tempi.
Noi siamo alla ricerca spasmodica di questo esemplare. Se qualcuno sapesse dirci dove si trovi batta un colpo. Ci procureremo il suo dna per clonarlo. Della pecora Dolly non sappiamo che farcene…
Io darei a colpa a noi mamme, che cresciamo figli maschi con la stessa frase “lascia, faccio io”, diamo sempre la colpa alle suocere che nostro marito è un “mammone” (non è neppure casuale che il termine sia molto italiano, i maschi italiani sono veramente particolari…) ma la suocera altro non è che la mamma di un maschio….
cara Adriana non potrei essere più d’accordo!
E’ questione di carattere, o se volete di spina dorsale, c’ è chi vive in passività lasciandosi toccare dagli eventi e chi li vive, se non al 100% al massimo delle sue capacità conscio che saranno comunque momenti che non ritorneranno. Quello della maternità/paternità non fa eccezione, alcuni lo vivono come se fosse la propria compagna a generare e quindi a doversi sorbire la completa funzione di allevatrice, altri ( come me ) la vivono attivamente, dentro la pancia della mia compagna c’ è mio figlio, il mio sangue, il mio DNA le mie cellule!
Nella nostra famiglia la mamma è il papà ed il papà è la mamma, quello che fa l’ uno lo fa anche l’ altro in modo che non ci siano vuoti ed i compiti vengano distribuiti il più possibile. Non posso garantire al 50% ma dove non arriva l’ uno arriva l’ altro e l’ equazione è comunque bilanciata.Ma poi voglio che i miei figli si ricordino del loro padre ed un giorno quando diventeranno padri a loro volta, facciano felici le loro compagne partecipando attivamente alla vita della famiglia e non solamente come spettatori!