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Io mamma blogger, ieri amante dei libri oggi vittima dello smartphone

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Me lo diceva qualcuno più acuto di me  in tecnologia: “comprati uno smartphone e la tua vita cambierà !”
Che poi bisogna valutare se quel  “cambierà “ abbia valenza positiva o meno.

A me piace il cambiamento.

Non quello repentino che vai a letto, dai la buona notte, chiudi gli occhi, ti abbandoni alla fase rem, ai sogni belli, brutti, strani, banali che siano e poi ti svegli la mattina nel corpo di qualcun altro, nella casa di qualcun altro (non so voi ma a me quei film che trattano sta tematica del trasferimento di anime da una esistenza a un’altra, per un qualche bizzarro incantesimo, mi impressiona un pò).
Intendo un cambiamento un po’ più sfumato, graduale, di quelli che solo quando ti volti indietro capisci che qualcosa nella tua vita si è trasformato e tu magari non ti sei nemmeno accorto.
Quando ho deciso di acquistare il mio smartphone, che mi avrebbe resa una persona più trend, al passo coi tempi, che se ne sta disinvoltamente ai ritmi di una società  nevrastenica e assorbita da questi piccoli schermi ambulanti, ero contenta. Ma confesso di essere cambiata dall’oggi al domani, come si dice.
Sapete la bambina che se ne esce soddisfatta dal negozio di giocattoli con il regalo tanto richiesto? Ecco, tipo. E sapete sempre la bambina che una volta a casa ha solo occhi per quel giocattolo che tu le puoi stramazzare davanti con un embolo che ti circola in testa e la bava alla bocca e lei nemmeno per il cavolo? Ecco, aritipo.
Ho giustificato il mio improvviso isolamento dal mondo  con il fatto di essere una blogger che non si può perdere l’aggiornamento delle mail, nemmeno ciò che si posta su Facebook, si cinguetta su Twitter, se il suo indice di gradimento sale o scende su Klout, quanti apprezzano la foto su Pinterest di che minchia mangia a colazione e se su Instagram il suo batik per le vacanze tira.
Perciò “˜sto smartphone serve, dai. E il suo uso è così ipnotico che da qualche giorno ho dato il via a un percorso di disintossicazione. Non ne posso fare a meno, sono sempre lì con lo sguardo rivolto su quell’aggeggio infernale, il ditino indice che scorre su e giù a cercare post, leggere commenti, vedere chi clicca e cliccare “mi piace”, e concedere mugolii come risposta alle domande (mille) che mi fa gnoma o alle richieste di interazione di Lui.
Insomma una rincoglionita 2.0.
E i miei due libri, quelli iniziati e lasciati alla polvere, impilati disordinatamente sul comodino, aspettano fiduciosi che mi si levi la scimmia di Steve Jobs dalle spalle per riprendere a leggerli.

libri

1. La cura Schopenhauer di  Yalom Irvin D.

la storia mi ha subito catturata. I contenuti psicologici mi attirano come insetti su carta moschicida.
Il protagonista è Julius Hertzfeld, illustre psichiatra, affetto da una grave malattia. Che lo spinge a una botta di conti esistenziale del tipo: “forse è il caso rivedere che ho combinato nella vita”. Dall’analisi ne deduce che qualche errore da riparare c’è e perciò lancia una sfida azzardata: contatta un suo ex paziente, Philip, filosofo arrogante, sessuomane e narcisista, per coinvolgerlo in una terapia di gruppo. Peccato che in quello stesso gruppo ci sia anche una delle vittime della sessuomania di Philip, e la situazione degenera in un livello di tensione e coinvolgimento tali che nessuno resta più lo stesso. Hertzfeld affronta il trattamento di Philip ricorrendo al suo alter ego: Arthur Schopenhauer. E la “cura Schopenhauer” inizierà  a mostrare i suoi effetti.
E io al culmine di questa splendida lettura ho preferito vedere se sulla pagina “Il peggio della fotografia Made in Italy” di Facebook ci fosse qualche nuova immagine per scompisciarmi dalle risate. Provate voi a stare seri davanti a una sposa che si fa immortalare stesa supina su una madia da soggiorno.

2. Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami

Due storie che viaggiano su binari paralleli senza che si intersechino mai ma comunque legate tra loro: un quindicenne, con la maturità  e determinazione di un adulto e un vecchio, ingenuo e puro come un bambino. Entrambi si allontanano dallo stesso quartiere di Tokyo diretti a Takamatsu, nel Sud del Giappone. Il ragazzo, che si fa chiamare Kafka, sta fuggendo dal padre, scultore ingegnoso e diabolico, e dalla sua profezia. Il vecchio, Nakata, che ha il particolare dono di capire il linguaggio dei gatti e comunicare con loro, scappa invece da un delitto spaventoso in cui è  stato involontariamente coinvolto. Che posso dire di questo romanzo? Che più una storia è assurda, vaneggiante, onirica, surreale e più la trovo fantastica. Ma è ovvio che sul punto di scoprire alcune dinamiche significative della vita di Nakata e Kafka io abbia ritenuto essenziale collegarmi su Twitter per prendere per il culo Belen Rodriguez, appena diventata mamma, e il suo cordone ombelicale prossimo a un’ospitata dalla D’Urso.

Ora capirete come mai, malgrado le non rare crisi di astinenza quotidiane, io abbia deciso di centellinare l’uso del mio cellulare.
Che non è mica bello comunicare con un lessico fatto di “ti quoto, ti posto, ti twitto, ti embeddo o ti downlodo”…

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Deborah Papisca

L'avvento dell'era dei blog e dei forum forgia la sua fortuna permettendole di realizzare il sogno di una vita: vedersi pubblicare un romanzo. 'Di materno avevo solo il latte' è uscito il 10 maggio 2011 e sembra avere valicato i confini delle sue aspettative oltre ad averla finalmente conclamata scrittrice ufficiale. Continua a leggere

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