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Diventare madre dopo i 50 anni. Quanto è giusto?

sabrina-ferilli-mamma-a-52-anni.jpeg– Silvia Morsenchio- 

Leggo che Sabrina Ferilli diventerà tra non molto madre a 52 anni. E non nascondo una certa perplessità creandomi a fatica un varco tra i molteplici “evviva la vita! “, “che bella notizia”, e via così.

Ad essere sincera dietro notizie di questo tipo non resisto alla visione del figlio sinonimo di ricompensa personale, il tassello mancante al mio già splendido puzzle, la fase del “dopo che me la sono goduta posso dedicarmi a questo “progetto””, come disse a suo tempo Madonna tenendo in braccio un bimbo piccolo in occasione di una conferenza stampa di presentazione a uno dei suoi tanti album. Non riesco a fare ma meno di avere questa opinione.

È ormai all’ordine del giorno leggere sui giornali, riviste patinate, sui social e sui vari siti gossip, la notizia di donne, per lo più famose, che in maturanda età danno l’annuncio shock di un figlio in arrivo, con foto di pance, pancini, pancioni, corredini e diario “privato-pubblico” che ci tengono al corrente di tutti gli sviluppi della loro maternità.

Mille possono essere i buoni motivi che spingono verso una simile decisione, anche se, diciamocela tutta, l’età biologica, i ritmi circadiani, il sorgere ed il tramontare del sole non possono essere piegati ai nostri desideri.

In un’epoca in cui tutto si può comprare, maternità compresa, un figlio non ha un codice a barre e non si può rendere se poi a un certo punto non funziona più.

Non è una questione di etica, io ho lottato per avere le mie figlie, solo chi mi ha avuta ripetutamente in cura lo sa, e non so cosa avrei fatto se non fossi riuscita a diventare madre, quindi non voglio giudicare niente e nessuno. Anzi, meglio dire nessuna.

Un “però”, lo sento d’obbligo.

Davvero pensate che l’età non conti per la maternità? Seriamente vi viene da gioire in modo incondizionato alla notizia che una donna sull’orlo della menopausa, segnale evidente di madre natura che il nostro corpo sta dirigendosi verso una dimensione di “riposo” dall’attività energica di proliferazione?

A una età troppo matura di una donna credete che l’arrivo di un figlio sia più un regalo fatto a sé stessa o un dono esclusivo al bambino?

I bimbi non sono bambolotti da vestire firmati, da affidare alla tata, da esporre come un trofeo sui social, non sono materiale utile per coprire i vuoti personali.

I figli, il loro arrivo nella nostra vita, sono una sfida e una scommessa con la vita stessa, sono una responsabilità a tutto tondo, dove per responsabilità si intende “rispondere abilmente” al dono che ci è stato concesso, quello di ricevere in affido una creatura verso cui siamo un po’ debitori e non monopolizzatori della sua esistenza.

Ogni vita che nasce non ci appartiene anche se passa attraverso noi e fa cucù al mondo, e io, che vengo investita del ruolo di mamma, ho il compito di dare il meglio di me attraverso un processo di autoriforma, di rivoluzione umana, questo è il miglior nutrimento che possa dare a quel bambino che ha scelto me come “guida”.

La vita è un ciclo, come l’acqua che prima fa piangere i cieli e poi ritorna nel mare, evapora, piange, punge, inumidisce, irriga, feconda, si lascia fecondare.

Allora la domanda sottesa a questo ragionamento ad alta voce, è questa: quanto ognuna di noi è consapevolmente in grado di dare, privandosi ogni giorno di un pezzetto di sé per donarlo in modo da creare una nuova identità, unica illimitatamente e mai uguale a nessuno, nemmeno a se stessa?

Quante di noi sono disposte a vedere l’arrivo di un figlio come occasione di essere educate in buona parte da questi esseri meravigliosamente minuscoli?

A 50 anni e oltre, si ha la giusta energia di affrontare le dinamiche impegnative della crescita di un bambino? A 60 anni, si ha la giusta “aura” di affiancare un “diecenne” in fase preadolescenziale con le sue dinamiche di crescita?

E a 65 anni si è pronti a controbattere alla tanto temuta adolescenza?

E’ giusto che la maternità e le emozioni che porta con sé ci facciano scordare quanto sia importante essere “sul pezzo” una volta nato un figlio?

Forse una risposta ci può essere a tutte queste domande frenetiche che come le sabbie mobili più te le poni  e più ti affossi nei meandri del dubbio e della false convizioni: è una poesia di Kalhin Gibran che ribalta un’antica visione della maternità. Chissà quante di noi sono disposte a farne una filosofia di vita?

 

I vostri figli

… e una donna che aveva al seno un bambino disse: parlaci dei figli. Ed egli rispose:

I vostri figli non sono figli vostri…

sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell’avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l’arco che rimane saldo.

 

 

 

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Deborah Papisca

L'avvento dell'era dei blog e dei forum forgia la sua fortuna permettendole di realizzare il sogno di una vita: vedersi pubblicare un romanzo. 'Di materno avevo solo il latte' è uscito il 10 maggio 2011 e sembra avere valicato i confini delle sue aspettative oltre ad averla finalmente conclamata scrittrice ufficiale. Continua a leggere

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