A voi la parola

Epilessia, storia di un papàe di una famiglia unita

Faccio il rianimatore.

Venturino dice che è poi un modo sublimato per dire che faccio l’anestesista. Vero!

De facto: tuta blu, fonendoscopio al collo, penne assortite. Uno di quei medici che girano con piglio sicuro per l’ospedale, a passo veloce: uno di quelli, insomma, che vengono chiamati quando le cose si mettono male. Fico! C’è di più: sono un neuroanestesista, ovvero mi occupo di emergenze neurologiche. Strafico! Mitico! Al letto del malato ordini coincisi, mosse sicure. Protocolli ben saldi in mente.

Cambiate scena, adesso. Non più tuta e penne, ma boxer e maglietta sdrucita. I gesti decisi lasciano il posto a mani tremolanti. Non ci sono più protocolli, ma un’unica frase in testa: “No, Lui non voglio che muoia”, e l’unico ordine, mentre massaggio il petto di mio figlio, a mia moglie in lacrime: “Chiama il 118″.

 

Due anni fa, nella quiete domestica, dove meno te lo aspetti, mia moglie, mio figlio ed io abbiamo iniziato un viaggio che dura ancora oggi. Epilessia. Non starò qui a farvi un trattato con epidemiologia, eziologia, diagnosi e trattamento: basta Google per farsi un’idea. Una scintilla anomala, un cortocircuito, e via”

Il nostro inizio fu davvero duro: oltre alla crisi tonico-clonica, l’espressione più tipica di questo fenomeno elettrico cerebrale, il tutto avveniva all’indomani dell’amara scoperta della perdita del nostro secondo figlio, che mia moglie aspettava da poche settimane. Persi completamente la testa, saltarono tutti i protocolli. Ero, eravamo impreparati.

Le cose dopo sono andate via via sempre meglio. Dopo un breve percorso diagnostico siamo arrivati ad una terapia. Oggi mio figlio sta bene ed è libero da crisi.

 

A tanti altri genitori le cose non vanno così bene.Quel rianimatore in tuta blu che ha iniziato questo post lo sa, lo vede tutti i giorni. Quello stesso rianimatore e sua moglie, medico anche lei, appassionata di neurologia, che annasparono tra articoli, libri e riviste scientifiche, per trovare la strada. Vero è che oggi esistono centri che trattano specificatamente l’epilessia.

Non furono gli articoli o le nostre lauree a sostenerci. 

Altri, come noi, vanno avanti, a testa alta, e non sono dottori. Giorno dopo giorno.

La famiglia. Questo ci ha sostenuto e, penso, sostenga tutti quegli altri.

Il coraggio di viverla, non solo per quello che si legge su rotocalchi e riviste psicologiche. Condividere le proprie paure, non emarginare il problema con laconiche frasi “Ah, di questo se ne occupa mia moglie/ mio marito”.

A differenza di altre patologie, l’epilessia può durare anni, spesso senza prodromi, a volte con ricadute improvvise e diversi attacchi dopo lunghi periodi di benessere.

Frequentemente si accompagna ad altre patologie in veri e propri quadri sindromici, che richiedono percorsi assistenziali lunghi e complessi.

Penso fosse questo che all’inizio del nostro viaggio ci spaventò: la possibilità  che quanto aveva colpito nostro figlio non fosse curabile, che potesse ripresentarsi dopo anni; che non fosse l’unico problema che avremmo dovuto affrontare. Non c’era, e non vi è ancora oggi, un’etichetta, una diagnosi che ci possa dire: “ok, è tutto passato..”

Alla fine l’unica conclusione possibile era sempre la stessa: oggi va bene, godiamoci questi momenti, domani affronteremo quello che verrà .

Insieme.

Ieri e oggi sono passati.

E sta funzionando”

 

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Enrica Costa

Buona ascoltatrice, buona chiacchiera, buona forchetta...la cosa su cui ha qualcosa da dire è come fare la mamma italica in giro per il globo, mettendo a confronto la mentalità  italiana con quella di mamme provenienti da ogni parte del mondo: le mamme sono mamme a qualsiasi latitudine, cambiano solo le tecniche con cui affrontano le stesse problematiche. Il suo compito sarà  quello di presentarvi queste diverse strategie. Continua a leggere

2 Commenti

  1. Mi rivedo in questo post. Sono infermiera, ho lavorato in rianimazione pediatrica..2 anni fa mia figlia ha perso il respiro.Le cose cambiano, ancora di più perchè sai. e l laurea spesso non ti solleva, ma anci è un macigno di responsabilità 

  2. spesso, quando sei “dell’ambiente” speri sempre che ciò che vedi nn succeda a te, ma quando succede ti senti impotente… avete intrapreso un grande percorso che ha trovato una fine… bravi

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