Classi separate per gli stranieri
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Pochi giorni fa, in una scuola media di Vercelli, è stato eseguito un esperimento sugli studenti italiani e stranieri che è al contempo riuscito perfettamente e fallito completamente.
Ad insaputa degli studenti e dei genitori, la scuola ha fatto passare una circolare che imponeva al gruppo di studenti di origine straniera di essere separati dalla classe e seguire le lezioni altrove per poi sostenere due esami aggiuntivi in più a fine anno, dimostrando così la perfetta conoscenza della lingua e cultura italiana.
Gli studenti italiani si sono ribellati, cercando di impedire ai compagni stranieri di lasciare la classe o chiedendo di essere messi nella stessa classe con loro.
La preside dell’istituto e le professoresse che hanno ideato l’esperimento, si sono dette soddisfatte della risposta straordinaria data dagli studenti, sostenendo che si aspettavano una reazione, ma non di questa portata.
Esperimento riuscito, esperimento fallito
Il punto dell’esperimento era di ricreare gli eventi accorsi durante le Leggi Razziali del 1938, con lo scopo, suppongo, di far rivivere la storia drammatica del fascismo agli studenti della scuola media.
Il tutto inserito in un tentativo di dimostrare che i giovani sono aperti al diverso, che sono in grado di alzarsi in piedi per accogliere gli stranieri.
Tutto splendido e come dimostrano i fatti, il messaggio positivo è passato: i giovani sono più intelligenti degli adulti e soprattutto più pronti all’integrazione degli stranieri.
Al contempo, come dicevo all’inizio, l’esperimento è fallito perché è partito da presupposti completamente sbagliati.
Le Leggi Razziali erano rivolte agli italiani di religione ebrea e sono state espressione di osceno e bestiale razzismo. Si applicavano però su di un substrato di cittadini italiani, che si differenziavano solo per un credo religioso, non altre differenze linguistiche e culturali.
La situazione degli studenti stranieri nelle scuole italiane invece è diversa e sotto certi punti di vista, più complessa.
Con l’esperimento passa un messaggio rivolto ai “razzisti”, a cui si voleva dimostrare che la gioventù italiana è perfettamente felice di condividere il quotidiano con lo straniero.
Creare le cosiddette “classi ghetto” dove mettere i figli degli immigrati perché non hanno una competenza pari a quella dei coetanei italiani nella lingua, è vista come discriminazione, segregazione, ghettizzazione, appunto.
Un altro modo per dire “voi siete diversi, siete inferiori, non vi dovete mischiare a noi altri, padroni di casa”.
Ahimè, c’è fin troppa gente che la pensa e agisce in questa maniera e l’intento di avere classi separate è una delle tante maniere per rifiutare la loro presenza nel nostro paese.
Da questo punto di vista l’esperimento è riuscito, come dicevo: abbiamo bisogno di crescere futuri uomini e donne con una mentalità aperta, pronti a vivere senza che paure infondate blocchino, o peggio, istighino violenza insensata contro il diverso.
Però è un dato di fatto che molti di questi bambini (e i loro genitori) arrivano in un paese di cui conoscono poco o nulla la lingua. Da immigrata posso assicurare che non poter comunicare efficacemente con chi ti sta intorno e dipendere da persone di cui non si capisce totalmente l’idioma, è destabilizzante.
Forse le classi “speciali” per bambini immigrati potrebbero essere intelligentemente (e ripeto, intelligentemente) studiate per dare loro la possibilità di integrarsi adeguatamente e diventare a tutti gli effetti parte della comunità.
Non tutti gli immigrati ne avrebbero bisogno ovviamente, ma molti potrebbero trarne dei grandi vantaggi.
Perché se da un lato mi dissocio completamente da chi rifiuta l’immigrato, sia esso legale o clandestino o rifugiato, dall’altro mi domando se chi vuole evitare classi separate abbia mai controllato se nelle classi normali tutti gli studenti stranieri siano effettivamente in grado di imparare adeguatamente.
Li si integra, certo, ma si controlla prima che abbiano i mezzi per essere allo stesso livello dei coetanei italiani, giungendo efficacemente all’integrazione voluta?
Un’idea per integrare gli studenti stranieri
Lancio qui un’idea: possono essere nelle stesse classi dei compagni italiani, ma avere a disposizione corsi paralleli di approfondimento della lingua, cosicché possano arrivare allo stesso livello dei della classe.
Dove vivo ci sono scuole studiate appositamente per accogliere i figli di immigrati che non parlano una parola di inglese. In queste scuole, divise per classi tanto quanto le scuole regolari, ci sono insegnanti specializzati in programmi linguistici. Seguendo metodi particolari, portano gli studenti ad un livello linguistico adeguato alla loro età, insegnando contemporaneamente le altre materie.
Dopo un anno vengono fatti dei test per valutare se sono pronti o meno per entrare nelle scuole regolari.
Non è un sistema ottimale, ovviamente, ma è un metodo per dare la possibilità a questi bambini di arrivare al livello dei coetanei senza troppi problemi.
In Italia quando si era parlato di classi separate (suppongo che il progetto fosse proprio lo stesso che ho descritto sopra) si era scatenato l’inferno e la proposta era subito stata etichettata come razziale, razzista, da fascismo.
Allora gli studenti stranieri sono stati mollati nella mischia, senza supporti adeguati per la maggior parte e ne ho sentite di mamme e papà che hanno protestato perché in una classe così disomogenea ci rimettono tutti!
Ecco perché a mio parere l’esperimento ha anche clamorosamente fallito: il modo per integrare uno straniero, non è solo proteggerlo da chi lo vuole escludere (fondamentale), ma anche dargli i mezzi per essere allo stesso livello di chi gli sta attorno.
Mi si dirà che in Italia non ci sono soldi per le scuole e per gli studenti italiani, figuriamoci per fare classi ad hoc per gli stranieri! Sbagliato.
Prima di tutto con questo discorso si cade vergognosamente nel “Prima noi, poi loro”, motto di fascista memoria. Secondo: non è l’Italia piena zeppa di insegnanti precari, supplenti a vita, maestri disoccupati? Ecco un’opzione per dare lavoro a chi ha una professione.
Mi si dirà che non ci sono soldi a sufficienza per pagare stipendi adeguati all’esercito di insegnanti che si vogliono assumere o non abbastanza per avere strutture che possano accogliere tutti. Sbagliato.
Lo sappiamo tutti che i soldi ci sono ma vengono spesi male, sprecati e buttati in finanziamenti assurdi tipo quello delle scuole paritarie.
Mi si dirà che non è facile, che è complesso, che parlo bene io che sono in un paese come gli US (che per inciso attualmente, grazie ad un presidente vergognoso come Trump, stanno messi peggio dell’Italia). Vero.
Non è facile, ma ciò non significa che non si debba fare nulla.
Governare un Paese non è un gioco; cercare di convivere con persone di lingue e culture differenti, non è una passeggiata. E allora? Si rinuncia ad affrontare il problema, ignorandolo e rigettandolo?
Sarebbe più facile (?) vivere in un mondo chiuso, protetto, dove tutti parlano la stessa lingua, credono nelle stesse cose e fanno le stesse cose, ma non è realistico.
Il mondo è apero
Il mondo è aperto, che ci piaccia o meno, e il modo migliore è guidare quest’apertura in modo tale che le parti coinvolte traggano beneficio e subiscano (o facciano) meno danni possibili.
Resistere al cambiamento alzando barriere conservatrici, serve solo a far rimanere indietro tutti.
Un plauso alla scuola per aver dimostrato che il futuro della nazione ha speranze. Ma non è abbastanza, bisogna essere realisti.
Essere realisti non significa concedere ai razzisti la vittoria.
Essere realisti non significa rinunciare a giusti ideali.
Essere realisti è un passo verso la soluzione di un problema.
Forse se si trovasse una via di mezzo, si potrebbero controllare gli estremismi che danneggiano tutti, stranieri ed italiani insieme.
La mia esperienza di straniera tra stranieri
Vivere in Australia prima e in America ora mi ha aperto gli occhi e mostrato quanto indietro sia l’Italia in ambito immigrazione. Nonostante gran parte degli immigrati in Italia si sia in qualche modo integrata, troppo ancora nella nostra mentalità si basa sul sospetto e la diffidenza.
Ricordo quando sono tornata in Italia nel 2013, dopo 7 anni di lontananza. Alla domanda “Cosa trovi di diverso a Milano”, ho subito pensato al numero esorbitante di sale d’azzardo che non esistevano prima che me ne andassi. Chi mi ha fatto la domanda mi ha guardata scioccata e ha esclamato: “Ma no, ma che dici! Ma non vedi che razza di suk è diventata la città? Sono tutti neri e musulmani!”.
Onestamente è vero, il numero di persone di diversa nazionalità è aumentato nella mia città, ma non l’ho percepito in maniera negativa, anzi: è stato uno dei pochi elementi che mi ha fatto sentire a … casa.
Quando mio figlio frequentava le elementari (ormai il lontano 2001) nella sua scuola durante le ore di italiano i ragazzi immigrati che non parlavano italiano si separavano dalla classe e insieme ad un altro insegnante seguivano un programma che potesse introdurli alla nuova lingua.
Invece bambini di genitori immigrati ma nati in Italia non hanno alcun problema con la lingua e anzi, molti parlano meglio l’italiano di molti nostri connazionali.