Arriva un figlio e più di duemila donne lasciano il lavoro
2315.
Non sto dando i numeri.
O almeno non ancora.
Ripeto, 2315.
Tante le donne che hanno lasciato il lavoro dopo essere diventate madri.
E, credetemi, non certo perché hanno preferito starsene a casa per loro libera scelta.
Questo è il quadro scoraggiante secondo i dati forniti dalla Direzione Regionale del Lavoro ed elaborati dalla CGIL nella regione Marche. Nel quadriennio 2009-12, dunque, 2315 (posso tranquillamente ripeterlo all’infinito) donne lavoratrici hanno detto addio alla propria occupazione di cui 565 nel 2012.
“Si tratta di dati preoccupanti”, dichiara la CGIL, “soprattutto in questo momento di crisi che penalizza particolarmente le donne. Infatti, anche nella nostra regione permane una situazione di forte incertezza nel mercato del lavoro; secondo i dati dell’Istat, nel terzo trimestre del 2012, il tasso di disoccupazione femminile ha raggiunto la quota record dell’11,9%: il valore più alto mai registrato finora, con 37 mila donne in cerca di lavoro (5mila in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Inoltre, a seguito di crisi aziendali, nel 2012 sono state licenziate e iscritte nelle liste di mobilità 5.542 lavoratrici marchigiane, pari al 42% del totale iscritti.”
Identikit della lavoratrice che lascia il lavoro dopo la nascita del figlio:
– Per il 64,6% è abbastanza giovane ed ha almeno un figlio o presenta le dimissioni dopo la nascita del primo bambino (56,4%) o del secondo (31,9%);
– Le imprese dalle quali la lavoratrice proviene sono prevalentemente di piccole e piccolissime dimensioni, quasi sempre non sindacalizzate e dove è maggiore il senso di isolamento e la solitudine della lavoratrice: i due terzi delle aziende che le donne lasciano quando nasce un figlio ha meno di 15 dipendenti (69,0%)e il 19,1% ha tra 16 e 50 dipendenti;
– Tra i motivi della scelta di lasciare il posto di lavoro prevalgono:
a) le difficoltà connesse alla presenza, agli orari e ai costi e ai servizi: per la maggior parte delle donne la mancanza di posti nell’asilo nido, o comunque il mancato accoglimento del neonato al nido, rende incompatibile l’occupazione lavorativa e l’assistenza al bambino (25,2%).
b) Di poco inferiore la percentuale di coloro che lasciano il lavoro non potendo contare sull’assistenza al neonato neanche da parte di una rete parentale di supporto (24,9%);
c) Significativo anche il numero delle donne che lascia il lavoro a causa degli elevati costi dei servizi di assistenza al bambino per asili nido, baby sitter, ecc. (8,2%) o per la mancata concessione del part time da parte dell’azienda (4,6%);
d) Il 10,9% delle lavoratrici si dimette per passare ad altra azienda;
e) Poi c’è anche un 22,0% di donne che lascia il lavoro per dedicarsi interamente alla famiglia e in particolare alla cura dei figli.
Daniela Barbaresi, segretaria regionale Cgil, definisce preoccupanti in particolare le motivazioni di tali dimissioni che segnalano la solitudine di troppe lavoratrici costrette a fare i conti con una rete di servizi, soprattutto alla prima infanzia, insufficiente e inadeguato ai bisogni e i cui costi sono spesso troppo elevati per tante famiglie alle prese con le difficoltà economiche accentuate dalla crisi.
Secondo la Barbaresi, “assistiamo così a un progressivo deterioramento della qualità e quantità del lavoro femminile che accentua il rischio di marginalizzazione delle donne.”
C’è altro da aggiungere?
No, direi.
Finite le parole occorre scendere in campo e cercare di cambiare una situazione al limite dell’inverosimile.
In particolare in un paese che agli occhi del mondo è visto come l’eccellenza della maternità .
Fonte della notizia:
http://www.anconatoday.it/economia/dati-dimissioni-maternita-marche-2009-2011.html
Sono preoccupatissima
il punto a) unito al punto b) mi hanno fatta vacillare
è durissima è vero emotivamente ed economicamente
ma non ho, non abbiamo mollato
certo il mio stipendio+altro vanno solo in nido e baby sitter
Io non lo considero ne sacrificio, ne dispendio di forze,
ma piuttosto un OTTIMO INVESTIMENTO
sul MIO FUTURO e quello DI NOSTRA FIGLIA
Tra pochi anni, in realtà già all’inizio della materna il costo cala di parecchio
Quindi io consiglierei di tenere duro,
stare a casa non l’ho mai considerata una soluzione
aggiunge un problema: la fatica di cercare un lavoro dopo.
Sono certa che molte mamme leggendo il tuo commento, si sentiranno motivate a non mollare. Sono certa che per chi percepisce il lavoro come un investimento, possa essere un ottimo spunto il tuo ragionamento.
Ahimè non con tutte puo` funzionare. Non tutte le situazioni sono le stesse e non è facile mettersi nei panni di un’altra mamma e capire le dinamiche dietro alle sue motivazioni.
E` un dato allarmante ad ogni modo ed è il segno che viviamo in una società poco flessibile, dove le occasioni scarseggiano e si chiede alla gente (alle donne) di rinunciare, di stringere i denti, di fare i salti mortali.
O di cambiare rotta, come la sottoscritta, che per tutta una serie di avvenimenti è passata da Medico Veterinario a Mamma Blogger.
Fallimento? un tempo lo pensavo perchè c’era gente che mi diceva che ero una fallita.
Ma erano persone che non sapevano cosa stavo passando e come erano le dinamiche di famiglia.
Io credo di essere riuscita a trovare una soluzione flessibile al nostro problema.
Ognuno deve scegliere secondo le sue idee e il suo vissuto però SE E’ DAVVERO UNA SCELTA
e non perchè lo stato è assente e a chi vuole lavorare risponde: non ci sono posti, se il privato è caro una MAMMA soprattutto può sempre stare a casa no???
Se poi una mamma vuole e ripeto per sua libera scelta lavorare da casa, fare la mamma e pure home shooling
va benissmo
però che questa possibile scelta non sia usata per dire e va bè adesso c’è anche il telelavoro…..
Ah no! sono assolutamente d’accordo! Se alla base ci fosse la libertà di scelta sarebbe un conto, ma la libertà di scelta non c’è perchè quello che offre la nostra società non è adeguato e quindi una mamma è costretta a seguire (spesso) percorsi che non vorrebbe.